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Sono diverse le tipologie di associazioni sportive con cui si può avviare l’attività di Sitting Volley. Ovviamente occorre qualcuno che dia il via all’iniziativa: che sia un dirigente, un allenatore, un animatore, un insegnante, un genitore, un atleta con un deficit fisico, o una persona con una particolare sensibilità verso il mondo della disabilità, dovrà senz’altro interfacciarsi con una Società sportiva già esistente, a meno che non voglia istituire un nuovo sodalizio, cosa molto nobile e meritoria, ma probabilmente con un percorso più tortuoso e complesso. Innanzi tutto dovrà creare delle consuetudini, farsi conoscere, pubblicizzare il progetto, trovare uno spazio adatto (palestra) per gli allenamenti e con orari non “fantozziani”, come a volte capita per chi è agli inizi, individuare qualche collaboratore molto presente, tra cui un allenatore, già munito della qualifica fornita dall’apposito corso regionale della Fipav, e infine un medico di riferimento per ogni dubbio o difficoltà che possa presentarsi agli inizi e nel corso dell’attività.

Un altro modo di iniziare, è aprire una sezione dedicata all’interno di una società pallavolistica già affiliata, con il vantaggio di trovare una struttura consolidata, dove impiantare un’attività contigua agli allenamenti tradizionali con tutte le opportunità organizzative già presenti. Il problema per questa situazione potrebbe essere l’orario degli allenamenti, ma se c’è la volontà di lanciare il Sitting Volley, anche come sport a sé (cioè, temporaneamente senza atleti con disabilità), si potrebbero trovare diverse soluzioni, come la co-presenza durante l’allenamento di altre squadre (giovanili soprattutto, ma anche amatoriali), dove è possibile interagire con allenamenti specialistici, esercizi sintetici sui fondamentali della pallavolo (pensiamo allo Spikeball, dove non c’è il salto e al Sitting Volley S3), o spezzoni di gioco, dove potrebbero alternarsi, ad esempio, gli atleti in esubero nel 6vs6 sul campo centrale.

Un’altra soluzione, che è una variante di quest’ultima, è la collaborazione plurisocietaria. Il meccanismo posto in atto all’interno di una singola Associazione, si potrebbe duplicare o triplicare tra più realtà interessate, costituendo una squadra in comune, composta dagli atleti provenienti dai club partecipanti. Tutto ciò, a volte, per esigenze logistiche degli atleti, ma anche per allargare e condividere il progetto, organizzando allenamenti itineranti nelle varie sedi.
La cosa è ben conosciuta in ambito giovanile, dove ci sono molti esempi di queste coalizioni: in questo caso alla ricerca di una crescita qualitativa e soprattutto di un risultato agonistico più ambizioso.

La quarta soluzione che propongo, è quella di entrare a far parte di una Polisportiva Disabili, affiliata al Comitato Paralimpico, e già in attività con altri sport. Ci sono notevoli vantaggi con questa tipologia: innanzi tutto all’interno di queste Società già si respira quell’aria particolare che fa sì che la persona diversamente abile sia molto più al centro, rispetto ad altre situazioni. 

Questo favorirà un più facile coinvolgimento di nuovi iscritti, che se ancora dubbiosi, potranno conoscere altri atleti nelle stesse condizioni, che li faranno sentire già in famiglia. In alcune realtà (es. Pol. Gioco Parma), ho visto la presenza di un pullmino attrezzato con la pedana elevatrice per innalzare elettricamente la carrozzina, il medico, il fisioterapista già all’opera per le altre discipline, e dei volontari competenti, con anni di esperienza, cosa da non trascurare. A volte può capitare, essendo una polisportiva, l’utilizzo di atleti degli altri sport per completare il gruppo di allenamento, cosa che potrebbe accelerare molto il clima partecipativo negli esercizi e durante le competizioni.

Per tutte queste quattro tipologie, il problema più importante e più arduo rimane quello del reclutamento degli atleti e delle atlete, cosa non semplice, che va organizzata nel modo più adatto alle caratteristiche delle Società e del territorio. Dal lancio dell’iniziativa con i mezzi social di oggi, a quelli più mirati contattando gli istituti di riabilitazione, o enti come l’Inail. Oppure con iniziative all’interno delle scuole, come è stato quest’anno il Si2Play (progetto europeo Erasmus+, per ragazzi e ragazze dai 14 ai 18 anni), coinvolgendo attorno a qualche ragazzo con problemi, tutta la sua classe, dopo aver avvicinato gli insegnanti di Educazioni Fisica e di sostegno. O ancora organizzare un’esibizione con gli atleti e le atlete di una squadra di Sitting Volley, dando anche la possibilità di provare ad ognuno dei presenti, come nelle varie “Giornate Paralimpiche locali”. Sono tante, infine, le forme di approccio: occorre solo individuare quella più valida e soprattutto, come in tutte le novità, essere convinti e convincenti…

 

*Luigi Bertini è docente di “Attività Motoria e Sportiva Adattata” al Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche dello Sport e delle Attività Motorie preventive e adattate dell’Università degli Studi di Perugia. Per il Sitting Volley ha svolto diversi incarichi: Coordinatore Tecnico Nazionale, Direttore della Formazione e ora Docente ai Corsi Nazionali.

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